Rarità botaniche sul Malachin
dal libro "Passeggiate in Val di Non" di Antonio de Lutterotti
Tempo del giro completo: ore 5
Quasi mi sento un traditore che, rivelando un segreto finora noto a lui solo, mette a repentaglio i'esistenza di un essere amato e custodito come un tesoro nascosto. Ma poi mi dico: la natura, i fiori, sono li per essere ammirati da tutti, e il lettore di queste righe, che si sobbarca alla fatica di salire due ore per un sentiero appartato su una montagna battuta solo da cacciatori o da trattori che portano a valle il legname, non sarà proprio lui a distruggere i fiori che è venuto con tanto sudore ad ammirare. E in fondo non sono poi fiori di gran bellezza, da essere messi nel vaso; è la loro stranezza, e, in primo luogo la loro grande rarità, probabilmente unica in Val di Non, che mi da il coraggio di consigliare questa passeggiata,o meglio, piccola gita in montagna, tanto più che il fiore più lontano sarebbe comunque irraggiungibile alla mano, perché ben conoscendo l'avidità di certi gitanti domenicali si è appostato su pareti di roccia verticali, rendendo arduo il compito persino al fotografo. Ma torniamo a valle, per iniziare la camminata, questa volta un po' lunga e sempre in salita. Punto di partenza è Vigo di Ton, a 452 m sul mare, paese un po' nascosto fra il colle dove sorge il castello e la catena della Roccapiana, che divide la Valle di Non dalla Vai d'Adige. A Vigo merita una breve visita la Parrocchiale dell'Assunta, perché vi si possono ammirare dipinti dei fratelli Guardi. Essi per abitudine vengono collocati fra i vedutisti veneziani del '700, per cui si rimane un po' sorpresi scoprire qui in una chiesa di campagna come autori di pale d'altare Di Giovanni Antonio pare sia la pala dell'altare Marcolla la lunetta del miracolo del vescovo eretico di Magdeburgo mentre del fratello più giovane e più famoso, Francesco, i quadro di S. Francesco con le stimmate e la lavanda dei piedi degli Apostoli. Non è un puro caso che questa chiesa possegga opere di cosi illustri autori: i fratelli erano nati a Mastellina, in Va di Sole, e un loro zio nella prima metà del Settecento era parroco a Vigo di Ton. Salendo la strada asfaltata che porta alla frazione di Toss, dopo mezzo chilometro circa si incrocia una strada di campagna, che verso destra in lieve pendio porta sotto la collina dominata dalla mole di Castel Thun, i cui vasti contrafforti formano uno strano contrasto con il palazzo signorile che racchiudono nel loro mezzo. Dove la strada circoscrive, salendo con ampio arco, l'altura del castello, si cammina all'ombra delle querce che coprono come una galleria la via sulla quale par di udire da un momento all'altro il tintinnii di una carrozza signorile che riporta un gruppetto di ospiti di ritorno dalla visita al castello.... arrivati ad un trivio, non cediamo alla tentazione di seguire la strada lungo le alte mura turrite, ma scegliamo quella che più a destra attraversa ripidamente un prato, per inoltrarsi nuovamente nel bosco Dopo un grande stagno, che funge da serbatoio irriguo, la strada, ora meno bella, si dirige decisamente verso il monte, lasciando al viandante la scelta fra una variante più infossata nel bosco e un'altra più sassosa ma più aperta, che poi si ricongiungono dopo pochi minuti. Chi proprio non se la sentisse di allungare la gita di mezz'ora, e chi non avesse posto nella sua fantasia per qualche pensiero romantico ai piedi del castello, potrebbe arrivare fin qui anche in macchina. La strada, che ora sale verso sinistra, cioè in direzione di ponente, permette presto di ammirare il vasto panorama della bassa Valle di Non, con in fondo il gruppo della Campa, contrafforte più orientale del Brenta, in maggio ancora innevato - perché, per trovare i nostri fiori segreti, fine maggio e primi di giugno sono l'epoca più propizia. Ed ecco ai nostri piedi il vasto complesso di Castel Thun, con doppia cinta di mura, l'alto palazzo centrale di stile rinascimentale, più a nord gli edifici agricoli e le stalle, che formano la località di Nosino, dove il piccolo specchio d'acqua costituiva il primo serbatoio irriguo artificiale della valle, perché risale al XVII secolo. Il castello e senz'altro uno dei più maestosi ed estesi esempi di residenza nobiliare, sin dal '200 in possesso dello stesso casato e tuttora in perfetto stato di conservazione. Continuando la salita bisogna fare attenzione di non lasciarsi sfuggire la prima strada che gira verso destra e che é quella giusta. L'altra, più piana, si perde poi su un pendio erboso, una volta estensione di praterie a malga per il bestiame del castello, ora quasi coperto da una vegetazione di arbusti. Questa malga, come tutto il monte, porta il nome di Malachin, forse da "mala china", espressione che non deve spaventare, perché la china non e poi tanto cattiva, anzi, si cammina quasi sempre nella penombra del bosco, e man mano che si sale, diventano sempre più frequenti le chiazze rosso vivo delle peonie selvatiche, che qui si trovano ancora numerose, perché il monte è poco frequentato. Pare invece, che ai tempi dei Romani il Malachino sia stato uno dei pochi passaggi fra Val di Non e Val d'Adige, quando la forra della Rocchetta non era ancora praticabile. Chi dunque trovasse lungo il cammino una moneta romana, non si meravigli, può averla persa un soldato romano che ha fatto la fatica della salita prima di noi. La probabilità di trovare monete é certamente scarsa.
Dracocefalo Foto A. de Lutterotti
Ma ora, dopo aver camminato circa un paio d'ore da Vigo di Ton, bisognerà tener aperti gli occhi per scoprire l'altra rarità: su un prato a destra della strada, fra qualche lastra di pietre grigie, e poi su e su per il pendio erboso cosparso di gruppi di cespugli fin verso il ciglio della china, ecco apparire il Dracocefalo, la testa di drago. Nome un po' terrificante per un fiore in fondo per nulla offensivo. Assomiglia alla salvia blu dei prati, e più bassa, ma i suoi fiori raggiungono il doppio di grandezza, con una tinta che va verso il viola scuro. Per chi ama una descrizione scientifica, cito le poche righe che dedica a questa pianta il Dalla Fior nella sua opera fondamentale "La nostra Flora" (Monauni Trento): sotto la famiglia delle Labiate (pag. 577): "Dracocephalum Austriacum L., in punti soleggiati, erboso rupestri, presso Cengles (Comune di Lasa) e di Prato Venosta". Il Dalla Fior avrebbe certamente citato, per una pianta cosi rara, il Malachin, se lo avesse saputo! Forse adesso, chi si è lasciato trascinare fin quassù dalla promessa di uno spettacolo raro, rimane un po' deluso: il fiore sarà raro, ma come bellezza non può gareggiare ne con la peonia, ne con il giglio rosso, ne con il grande calice azzurro-pergamenaceo di certe campanule. Ma chi si diletta a raccogliere i fiori alpini non con le mani, ma con l'apparecchio fotografico, potrà certamente aggiungere alla sua collezione un esemplare posseduto da pochi.
Dracocephalum austriacum (particolare) Foto Luca Marcolla
Il prato del dracocefalo invita ad un riposo. Risalendo il prato in direzione sud, si arriva fra peonie, dracocefali e orchidee globose fino al ciglio di un profondo dirupo, dove la vista é libera, l'aria fresca e qualche bel sasso si offre come sedile per prendere un rinfresco. E se dopo questa sosta uno fosse ancora stanco, o avesse la moglie che lo attende ansiosa a pranzo, non sarà certo da rimproverare: ha fatto una bella camminata e torna a casa con un interessante ricordo. Ma qualcun'altro sarà curioso di vedere anche la seconda rarità botanica. Allora mi sento in dovere di avvertirlo subito, prima che s'incammini oltre, per la mala china: si tratta di una sassifraga, una pianta che siede come un cuscinetto sulle rocce più verticali, con dei fiori bianchi che coprono come tante piccole stelle il verde cuscino. Non è da tutti affaticarsi per tutta una giornata solo per vedere che un fiorellino bianco spunta da una roccia in Val di Non, invece che dalle pareti del Monte Tombea, sopra il lago di Garda, che sarebbe l'unica sua dimora lecita, perché porta il nome di "Saxifraga tombeanensis". Li, sul Monte Tombea che sta fra il lago di Garda e il lago d'Idro, si trovano ancora delle rarità botaniche, sopravvissute all'ultima glaciazione, mentre il resto delle Alpi era coperto dai ghiacciai. Evidentemente qualche seme ce l'ha fatta non solo ad arrivare in Val di Non, ma anche a trovare un posto dove le condizioni di vita gli erano confacenti. Questa volta il fiore non é facile da scoprire. Vi ci ero arrivato la prima volta per sbaglio, avendo seguito una strada che porta quasi pianeggiante in fondo alla valle e che si diparte verso destra dopo il serbatoio irriguo. Per canaloni rocciosi, che nell'ombra profonda conservavano ancora gli ultimi residui di neve, senza traccia di sentiero e sempre più ripidi, tenendomi a rami malsicuri di mughi, arrivai infine esausto sotto una parete di rocce, dove venni ripagato dalla visione inaspettata di questa pianta in pieno fiore, che spuntava qua e la da piccole cenge e da fessure verticali. Vi si arriva però più comodamente: la mulattiera, dopo il prato dei dracocefali, continua a salire. Per un po' costeggia un vallone profondo che si apre a sinistra e infine, dopo più di un'ora, raggiunge la sommità della catena montagnosa, il Monte Malachin con 1750 m. circa. Bisogna ora girare a destra, cioè verso sud, abbandonando la strada, e ridiscendere le alture che sono la continuazione ideale della linea di rottura fra la china del monte e la valle profonda del Rinascico, nella quale abbiamo guardato prima, in occasione della nostra sosta. Fra rododendri e mughi, su tracce di sentiero non sempre riconoscibili e badando di rimanere sulla sommità del crinale che riporta verso valle nella direzione per cui eravamo saliti, si arriva su una piccola selletta, dove verso sinistra, cioè verso sud, scende fra le rocce un ampio canalone erboso, mentre a destra, verso nord, altrettanto ripido si abbassa il folto bosco di pini. Le prime piante della sassifraga sono poco lontane, sulle rocce a monte del canalone, e poi se ne possono scoprire qua e la, anche dall'altra parte.
Saxifraga Tombeanensis Foto A. de Lutterotti
Chi ora volesse scattare qualche bella fotografia, si accorgerà dell'enorme difficoltà di trovare un posto che non sia troppo basso ne troppo alto rispetto alla sede del fiore, e solo il fortunato proprietario di un teleobbiettivo riuscirà a fare una ripresa soddisfacente. Il ritorno a valle non offre problemi. Si può, per andare sicuri, ritornare a salire sul sentiero percorso oppure tagliare verso destra scendendo molto ripidamente nel bosco fino ad incontrare di nuovo la mulattiera che ci ha portato quassù. E se per caso, dopo tutta questa fatica, uno scoprisse che la sassifraga o il dracocefalo non sono ancora in fiore o, peggio ancora, sono già sfiorite? Allora darò tutta la colpa alla stranezza delle stagioni, chiederò scusa al gitante deluso, ma lo inviterò anche a ripetere la gita un'altra volta. Perché con le passeggiate è come con i libri: valgono solo se ci si ritorna sopra volentieri.