Una storia vera
PRIMO AGOSTO 1944: VIGO IN PERICOLO - Di Luciano Bernard
Escluso il pericolo dei bombardamenti aerei - che per noi, d’altronde, non furono particolarmente gravi - non vi dovevano essere pericoli di altro genere per la nostra zona. Un brutto giorno, tuttavia, accadde l’imprevisto. Era il primo giorno dell’agosto 1944: nella tarda mattinata, il carabiniere richiamato Beniamino Bernard, di stanza a San Michele all’Adige, avendo una giornata di libero, stava tornando a casa e saliva lungo la strada del Rinassico, arrancando nella calura del solleone. Giunto un po’ sotto l’abitato di Raut, si vide improvvisamente la strada sbarrata da quattro figuri armati, sbucati da una siepe che protegge la campagna circostante. Quello che sembrava il capo salutò cordialmente il carabiniere con un “Ciao, vecio” poi, rivolto agli altri, disse (in dialetto trentino): “No disarmel l’è ‘n bon òm!” - Infatti, essendo egli di San Michele, conosceva il carabiniere (dal quale era stato una volta arrestato per furto di filo telefonico, ma la cosà finì nella caserma dei Carabinieri prima che i Tedeschi lo venissero a sapere, altrimenti ci sarebbe stata una fuicilazione in base alla legge marziale, per atto di sabotaggio). Il ragazzo disse di essere un capo partigiano, poi offrì al carabiniere delle pere che aveva in una saccoccia, ma questi rifiutò, dicendo anche, chiaro e tondo, che preferiva fare la strada da solo, poiché non poteva farsi vedere in compagnia di certa gente. E, infatti, il capo, per nulla risentitosi, gli disse di fermarsi un pò, mentre loro sarebbero risaliti verso il Raut. Il Bernard - che non si era per nulla intimorito, quando aveva riconosciuto quel tizio, sapendo che non gli avrebbe mai fatto del male - attese che si allontanassero, poi si rimise in cammino, per essere a casa per mezzogiorno (portava un pò di cibo risparmiato nella caserma, che sarebbe stato utile a pranzo per la famiglia); quando fu presso la croce in pietra, detta “Cros dale Varge”, udì due colpi d’arma in direzione di Toss, presso la località “San Martino”, dove si dirama la strada che porta al Castello, e affrettò il passo per vedere che cos’era accaduto. Giunto lì, vide due biciclette a terra in mezzo alla strada e un uomo in divisa riverso nel canale irriguo, laterale alla strada, che era in secca. Si avvicinò al soldato e constatò che era già morto. Poi si accorse che, a pochi metri, nel prato adiacente, presso un grosso albero di melo giaceva a terra un altro soldato morto, che stringeva ancora in pugno una “Maschin-pistole” che non aveva fatto in tempo a usare, essendo stato fulminato da una pallottola in piena fronte. Dato che ormai erano entrambi morti e non poteva far nulla per loro, il Bernard si allontanò e marciò verso Vigo più in fretta che poteva (a piedi, anche se lì c’erano due biciclette a terra, ma sapeva che era roba da non toccare). Giunto a Vigo trafelato, si recò subito in Municipio a dare l’allarme e, da qui, telefonò al maresciallo dei CC di Mezzolombardo, comandante di zona, per informarlo (era un certo Macchi); questi, trattandosi di attentato a soldati tedeschi, non poteva agire senza aver prima informato il Comando tedesco, e qui accadde l’imprevisto: la pratica passò alla competenza delle SS di stanza a Mezzolombardo, che decisero di dare una dimostrazione esemplare della loro azione di rappresaglia: dare alle fiamme il paese più vicino al luogo del duplice delitto, supponendo che fra la popolazione vi fossero dei complici o, almeno, dei simpatizzanti. Era perciò necessario, in base alla legge di guerra, distruggere il paese e i suoi abitanti. I due militari tedeschi così proditoriamente uccisi non erano dei fanatici nazisti, ma due tranquilli bor chiamati alle ami, che non vedevano l’ora di tornare alle loro famiglie. Uno di loro era un maresciallo della Wehrmacht (esercito tedesco) e l’altro, più anziano, era un altoatesino di Cornaiano, presso Bolzano, reclutato come ausiliario nel S.O.D. (iniziali di “Sicherheitsorganisation dienst”: Servizio dell’organizzazione di sicurezza”), certo Johann Gasser, nato nel 1898 e padre di famiglia (ho saputo questi dati alcuni anni dopo, quando la vedova richiese al Comune di Ton una dichiarazione di morte su questo territorio, ai fini della pensione di guerra). Tornavano tranquillamente da una visita a Castel Thun, dove avevano trovato un’ottima accoglienza da parte del proprietario, il conte Zdenko Thun, che li aveva cordialmente intrattenuti parlando loro in tedesco ed offrendo loro uno spuntino. Ora scendevano contenti, tenendo a mano le loro biciclette, forse parlando delle loro famiglie lontane che speravano di rivedere presto (e che non avrebbero visto mai più). E così proseguivano per la strada in discesa dal Castello, finché, giunti nel luogo della loro ultima ora, erano stati intercettati e uccisi a sangue freddo, senza che avessero avuto il tempo di difendersi. Poco dopo mezzogiorno piombarono a Vigo alcuni camion militari tedeschi carichi di Waffen SS (“Waffen Schutzstaffel”, cioè Milizia di protezione armata, in pratica volontari nazisti fanatici) che, in pochi minuti, bloccarono tutte le vie d’uscita del paese per impedire alla popolazione di scappare, intendendo di dar fuoco al paese e arrostirci tutti. Se le vie di uscita dal paese erano state chiuse, le parole possono ugualmente uscire, perché c’era il telefono e, nel Municipio, qualcuno pensò di usarlo per chiedere soccorso all’unica persona che avrebbe potuto aiutarci in quel frangente. L’idea venne al Segretario comunale, certo Mario Barbacovi da Tres, che si rivolse al conte Zdenko, invocando un aiuto di emergenza. E il buon Zdenko si precipitò subito quaggiù, presentandosi al comandante nazista. Il conte Zdenko Thun era una persona molto nota nel mondo tedesco, anche se personalmente non s’interessava di politica. Ma suo padre, dottore in giurisprudenza, dall’inizio del secolo e fino al termine della Grande Guerra era stato un alto funzionario imperiale di Vienna e Governatore delle Province del Litorale Adriatico (dalla Venezia Giulia alla Dalmazia); egli era, inoltre, Cavaliere dello S.M.O.M. (Sacro Militare Ordine di Malta). In un cordiale colloquio col comandante, Zdenko garantì solennemente, sul proprio onore, che nessuno di Vigo o della zona circostante era in possesso di armi da guerra, e non poteva quindi aver ucciso i due militari tedeschi che, sicuramente, erano rimasti vittime dell’opera criminale di un qualche gruppo di sbandati. L’ufficiale delle SS gli credette e mollò la presa. E se Vigo è ancora un paese di vivi, con le sue antiche case dai portali datati, e se qualcuno degli abitanti di allora sta scrivendo questo scritto, è per merito del conte Zdenko, cui va eterna gratitudine.